venerdì 15 giugno 2018

Programma terza edizione degli Stati Generali 2018


Giovedì 28 giugno 2018
- ore 21:00 Gelati letterari "La Playa" di Pescara, con la partecipazione di Adriana Comaschi, Annarita Guarnieri, Carla Dolazza, Emilio Biagini, Luigi De Rosa, Maria Antonietta Novara, Vittorio Piccirillo

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Venerdì 29 giugno 2018
- ore 17:30 presso La Sala Figlia di Iorio della Provincia di Pescara, presentazione dell'antologia "Quando i sogni muoiono all'alba" e altri libri di autori non abruzzesi
- ore 20:00 Cena sociale presso il Ristorante il Pomodoro, Chieti


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Sabato 30 giugno (Agriturismo La Capezzagna, Ripa Teatina)

- ore  9:30-10:30 - Stage: INTRODUZIONE AL MARKETING DIGITALE. Crea il tuo sito web (David Ferrante)
- ore 10:45-12:45 - Stage: NON AFFEZIONARTI ALLA PRIMA IDEA. Editing e norme editoriali (Silva Ganzitti)
- ore 13:00 - Pranzo sociale
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- ore 15:00-15:45 - Conversazione e Approfondimenti
- ore 16:00-18:00 - Stage: ALLA RICERCA DI UNO STILE PERSONALE. La gestione della scena espositiva (Enrico Rulli)
- ore 18:15-19:45 - Presentazione libri degli autori non abruzzesi
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- ore 20:00 - Cena sociale
- ore 21:30 - Concerto musica classica con Maria Cristina Solfanelli e Yuri Sablone

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Domenica 1° luglio (Agriturismo La Capezzagna, Ripa Teatina)

- ore   9:30-11:30 - Stage: ALLA RICERCA DI UNO STILE PERSONALE. Il dialogo letterario (Enrico Rulli)
- ore 11:45-12:45 - Stage sulla Poesia (Giancarlo Giuliani)
- ore 13:00 - Pranzo sociale
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- ore 15:00-15:45 - Conversazione e Approfondimenti
- ore 16:00-17:00 - Stage: GOAL D'AUTORE. IL CALCIO DEGLI SCRITTORI E DEI POETI (Claudio Tarani)
- ore 17:15-19:45 - Stage: NON AFFEZIONARTI ALLA PRIMA IDEA. Come si fa a migliorare un testo (Silva Ganzitti)
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- ore 20:00 Cena sociale
- ore 21:30 Reading con le migliori pagine degli autori presenti e intrattenimento musicale

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(Pranzi, cene e pernottamenti non sono obbligatori! Ma l'iscrizione serve comunque.)

L'Agriturismo non ha camere libere per il pernottamento, pertanto si dovrà prenotare in strutture limitrofe di cui si fornirà l'elenco.

Pranzi e Cene (facoltativi) hanno un costo di 20,00 euro ciascuno (bambini la metà).
La prenotazione (per pranzi e cene) è obbligatoria.

Per informazioni e prenotazioni scrivere a tabulafatisegreteria@yahoo.it
Per tutto ciò che necessita: Cell. 335 6499393

giovedì 14 giugno 2018

Non affezionarti troppo alla prima idea (a cura di Silva Ganzitti)


Non affezionarti troppo alla prima idea.
Editing e norme editoriali
Cosa significa editare 
Editare significa
·        modificare
·        correggere
·        tagliare.
In altre parole, significa chiedersi se:
·        una scena funziona
·        una scelta per uscire da una trappola non è troppo facile 
·        un dialogo è banale, o prevedibile, o forzato
·        un personaggio ha bisogno di maggiore caratterizzazione psicologica, maggiore spessore
·        i tempi della narrazione funzionano.
Inoltre, editare significa domandarsi se:
·        siete verbosi solo per far sfoggio del vocabolario di cui disponete, ma dimenticate di mandare avanti l’azione
·        ci sono cadute, buchi, momenti in cui la tensione che avete alimentato fino a quel punto subisce qualcosa di simile al vuoto d’aria che si sperimenta, per esempio, quando si sale su una giostra, o quando in automobile si prende un dosso a velocità troppo elevata.
Infine, editando è facile:
·        scoprire che a volte avete sovrapposto la vostra voce al racconto;
·         constatare che un’emozione è stata detta, ma non mostrata;
·         capire che cosa manca a una descrizione.
In altre parole, editare è la fase della “critica costruttiva” al vostro testo, che difficilmente riuscirete a mettere a punto da soli, perché non c’è l’opportuno distacco fra voi e la vostra opera.




Mostriamo l’atto pratico dell’editare attraverso un esempio.

“La notte di Capodanno del 1935 nevicava. Passammo il confine tra Alabama e Louisiana esattamente a mezzanotte, ben chiusi nella nostra Ford Sedan. Stappammo lo spumante senza nemmeno rallentare.”

Davanti a questo testo l’editor andrà a controllare se:
·        Alabama e Louisiana confinano davvero (e scoprirà che in mezzo c’è l’intero stato del Mississippi)
·        la Ford Sedan era in circolazione nel 1935
·        si poteva girare così liberamente con alcolici o se era ancora in vigore il Proibizionismo 
·        se a Capodanno nevicava davvero in quei luoghi.


In seconda battuta passerà al setaccio grammatica e sintassi:
·        congiuntivi
·        concordanze
·        composizione dei periodi.
·         
Nel frattempo terrà d’occhio il senso, che sembra scontato ma non lo è per niente: succede spesso che una frase sia corretta dal punto di vista tecnico ma non significare niente.

Le ripetizioni. A volte sembra di leggere un rapporto di Polizia. “La sparatoria è avvenuta all’interno del cortile nell’abitazione della vittima. L’aggressore ha fatto fuoco contro la vittima nel cortile, colpendo la vittima al cuore.”

La punteggiatura: c’è chi non la mette, chi ne abusa, chi sparge virgole a casaccio.

Anche la scelta delle parole è importante. Ci sono tre ordini di errore in cui si può incappare:
·        il termine del tutto sbagliato - “appoggiò i piedi sul cofano”, ma sono dentro la macchina, perciò è il cruscotto-
·        quelli che somigliano, ma sono scorretti  -“raggirò il comodino”: Povero comodino, perché imbrogliarlo?-
·        quelli che sarebbero esatti, ma sono brutti, complicati, arcaici o provenienti da altre lingue -“ci vediamo al meeting” invece che al convegno.
Rime, assonanze e allitterazioni rientrano in questa categoria.
“Ci abbuffammo di abbacchio abbastanza abbondantemente”.

La coerenza interna a volte difetta anche ai più attenti. Whisky o whiskey sono entrambi corretti ma bisogna fare una scelta e mantenerla uniformemente per tutto il romanzo.
Nella foga di inseguire la storia, succede di aggrovigliarsi in frasi legnose o farraginose.
“Arrivò a un punto in cui due strade provenienti da direzioni diverse si intersecavano” al posto di: “Arrivò a un incrocio”.

Ogni autore ha la sua voce, o più voci, a seconda del tono che vuole dare all’opera: è il suo stile. Una volta impostato deve essere mantenuto.




Come si fa a migliorare un testo

Basandomi su alcuni testi corretti e poi pubblicati, vorrei mostrare come, in alcuni casi, non è soltanto l’asciugatura ma è soprattutto lo spostamento di porzioni di testo specialmente nell’incipit a migliorare la scorrevolezza, la leggibilità, il ritmo, la curiosità. Ma prima di tutto torniamo ancora all’incipit, questo momento fondamentale, questo nucleo di materia ricchissimo che da solo a volte decide le sorti di un libro.
Non è un riassunto, non deve svelare troppo ma essere carico di tensione, così da accalappiare letteralmente il lettore, da dargli l’impressione che stia per accadere qualcosa.
L’incipit deve possedere un qualche grado di ambiguità, sedurre il lettore, creare attesa, essere carico di aspettative.
Come fare?
·        Si può iniziare un testo in modo classico, seguendo gli eventi in modo cronologico. Semplice, ma non per questo meno efficace.
·        Si può partire in media res, portando il lettore nel cuore dell’azione e impegnarlo in una lettura più attenta. In questo caso non verranno narrate le premesse, che emergeranno attraverso i dialoghi, i racconti dei personaggi, con i capitoli successivi, insomma.
In media res iniziava la narrazione epica, per esempio quella di Omero, priva di preamboli e di introduzioni, perché entrava nel vivo della vicenda.
·        L’azione può anche svilupparsi a posteriori, dopo che i fatti sono accaduti. In questo caso le storie vengono riferite dal protagonista, o da qualcuno che ha assistito ai fatti, ad altri personaggi.
·        L’incipit può essere anche descrittivo, nel qual caso inizia con  la descrizione dei luoghi in cui si svolgerà la vicenda o con la presentazione di un personaggio, in genere il protagonista.




Di seguito alcuni esempi di incipit fra i più famosi.

L’amante, Marguerite Duras.
“Un giorno, ero già avanti negli anni, in una hall mi è venuto incontro un uomo. Si è presentato e mi ha detto: ‘La conosco da sempre’. “

Cent’anni di solitudine, Gabriel García Márquez
«Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.»

Orgoglio e pregiudizio, Jane Austen
«È cosa nota e universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie.»

Sulla strada, Jack Kerouac
«La prima volta che incontrai Dean fu poco tempo dopo che mia moglie e io ci separammo. Avevo appena superato una seria malattia della quale non mi prenderò la briga di parlare, sennonché ebbe qualcosa a che fare con la triste e penosa rottura e con la sensazione da parte mia che tutto fosse morto.»

Ulisse, James Joyce
«Solenne e paffuto, Buck Mulligan comparve dall’alto delle scale, portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio e un rasoio.»

1984, George Orwell 
“Era una fresca limpida giornata d’aprile e gli orologi segnavano l’una. Winston Smith, col mento sprofondato nel bavero del cappotto per non esporlo al rigore del vento, scivolò lento fra i battenti di vetro dell’ingresso agli Appartamenti della Vittoria, ma non tanto lesto da impedire che una folata di polvere e sabbia entrasse con lui”.

Il grande Gatsby, Francis Scott Fitzgerald
“Nei miei anni più giovani e vulnerabili mio padre mi diede un consiglio che non ho mai smesso di considerare. ‘Ogni volta che ti sentirai di criticare qualcuno’, mi disse, ‘ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i tuoi stessi vantaggi’”. 

La casa degli spiriti, Isabel Allende
“Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l'abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza sospettare che, cinquant'anni dopo, i suoi quaderni mi sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato, e per sopravvivere al mio stesso terrore. Il giorno in cui arrivò Barrabás era Giovedí Santo. Stava in una gabbia lercia, coperto dei suoi stessi escrementi e della sua stessa orina, con uno sguardo smarrito di prigioniero miserabile e indifeso, ma già si intuiva - dal portamento regale della sua testa e dalla dimensione del suo scheletro - il gigante leggendario che sarebbe diventato. Era quello un giorno noioso e autunnale, che in nulla faceva presagire gli eventi che la bimba scrisse perché fossero ricordati e che accaddero durante la messa delle dodici, nella parrocchia di San Sebastián, alla quale assistette con tutta la famiglia.”

Seta, Alessandro Baricco
“Benché suo padre avesse immaginato per lui un brillante avvenire nell'esercito, Hervé Joncour aveva finito per guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito, cui non era estraneo, per singolare ironia, un tratto a tal punto amabile da tradire una vaga intonazione femminile.
Per vivere, Hervé Joncour comprava e vendeva bachi da seta.
Era il 1861. Flaubert stava scrivendo Salammbò, l'illuminazione elettrica era ancora un'ipotesi e Abramo Lincoln, dall'altra parte dell'Oceano, stava combattendo una guerra di cui non avrebbe mai visto la fine.
Hervé Joncour aveva 32 anni.
Comprava e vendeva.
Bachi da seta.”

Il deserto dei tartari, Buzzati
“Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione.
Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa da tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò allo specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c'era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo.
Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide dell'Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l'incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni ad uno ad uno, che sembrava non finissero mai.
Adesso era finalmente ufficiale, non aveva più da consumarsi sui libri né da tremare alla voce del sergente, eppure tutto questo era passato. Tutti quei giorni, che gli erano sembrati odiosi, si erano oramai consumati per sempre, formando mesi ed anni che non si sarebbero ripetuti mai.”

Io uccido, Giorgio Faletti
“Porta da anni la sua faccia appiccicata alla testa e la sua ombra cucita ai piedi e ancora non è riuscito a capire quale delle due pesa di più. Qualche volta prova l'impulso irrefrenabile di staccarle e appenderle a un chiodo e restare lì, seduto a terra, come un burattino al quale una mano pietosa ha tagliato i fili.
A volte la fatica cancella tutto e non concede la possibilità di capire che l'unico modo valido di seguire la ragione è abbandonarsi a una corsa sfrenata sul cammino della follia. Tutto intorno è un continuo inseguirsi di facce e ombre e voci, persone che non si pongono nemmeno la domanda e accettano passivamente una vita senza risposte per la noia o il dolore del viaggio, accontentandosi di spedire qualche stupida cartolina ogni tanto.”

Harry Potter e la pietra filosofale, J.K.Rowling

“Mr e Mrs Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante. Erano le ultime persone al mondo da cui aspettarsi che avessero a che fare con cose strane o misteriose, perché sciocchezze del genere proprio non le approvavano.
Mr Dursley era direttore di una ditta di nome Grunnings, che fabbricava trapani. Era un uomo corpulento, nerboruto, quasi senza collo e con un grosso paio di baffi. Mrs Dursley era magra, bionda e con un collo quasi due volte più lungo del normale, il che le tornava assai utile, dato che passava gran parte del tempo ad allungarlo oltre la siepe del giardino per spiare i vicini. I Dursley avevano un figlioletto di nome Dudley e secondo loro non esisteva al mondo un bambino più bello.”

La chimera, Sebastiano Vassalli
“Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1590, giorno di sant'Antonio Abate, mani ignote deposero sul tomo cioè sulla grande ruota di legno che si trovava all'ingresso della Casa di Carità di San Michele fuori le mura, a Novara, un neonato di sesso femminile, scuro d'occhi, di pelle e di capelli: per i gusti dell'epoca, quasi un mostro. L'inverno era gelido, il mostro era avvolto in brandelli di coperta senz'altri indumenti specifici che gli riparassero le mani e i piedi e sarebbe certamente morto se una bayla (balia) in servizio temporaneo presso la Casa di Carità, tale Giuditta Comignoli di Oleggio, non avesse compreso, dall'abbaiare dei cani e da altri indizi, che qualcuno s'era avvicinato al tomo e non si fosse alzata dal letto per andare a vedere, sfidando il freddo polare di quella notte senza luna; se non avesse suonato la campana che obbligava le inservienti della Casa ad alzarsi: attirandosi ogni genere d'improperi, càncarimalesorti ed altre cortesie. Il mostro visse.”

Se ti perdi tuo danno, Renzo Brollo
“Dio è un ologramma, un qualche cosa che si vede ma che non può fare molto di più. Se fosse una vera potenza, uno che comanda insomma, farebbe ben altro, ve lo dico io.
E su questo non c'è altro da pensare, mi pare. Così entro nel locale senza pensieri per la testa se non la preoccupazione di trovare i soldi giusti da dare in cassa, senza dover aspettare per forza un resto che non mi va di ritirare. Il mio socio sbuffa perché sono già le tre di mattina, vorrebbe andare a letto ma guido io e tornare a casa a piedi è come bestemmiare in chiesa, considerando il fatto che ci sono almeno quindici chilometri di strada buia e c'è da scollinare attraverso paesetti scaccolati tra gli anfratti di queste forre tra il lago e la montagna.”








 L’analisi di un testo descrittivo pressoché perfetto, che trascina i cinque sensi del lettore e li mantiene vigili e lucidi per tutto il tempo, può aiutarci a comprendere i meccanismi della stesura di un buon incipit, anche se il testo in questione è un racconto breve. Anzi, proprio perché è un racconto breve, tutti i criteri che teniamo presenti nella stesura di un romanzo hanno qui ancora maggior ragione d’essere e ciò deve avvenire in un minor numero di battute.

“Lei è sotto la doccia. L’acqua le cade sul corpo e vi indugia formando repentine stalattiti nell’abisso di quei seni che hai baciato per ore e ore. Metti il caffè nel filtro, calcoli la quantità d’acqua per quattro tazze e premi il bottone rosso.
Senti il suono dell’acqua che inizia a bollire elettricamente e goccia a goccia cade sul caffè, formando quella melma aromatica. Malta che unisce le pietre del selciato mattutino.
Lei appare col suo accappatoio annodato in maniera distratta. Puoi vederle le cosce splendenti, ancora umide. Prendi la caffettiera, la porti sul tavolo, prepari le tazze, vedi che i garofani resistono nella loro agonica altezza rosata. Non sono così assolutamente imperituri come le rose di maggio.
Ora lei appare con un asciugamano annodato come un turbante, puoi vederle la nuca, il collo liscio e fresco che profuma di talco. Sotto il turbante, una minuscola ciocca di capelli sfugge alle intenzioni dell’asciugatura e aderisce alla pelle con una strana presenza bionda, pietrificata. Lei si siede, lo fai anche tu, e davanti a voi il solito silenzio prende il suo posto.
Servi il caffè lentamente, tendi verso di lei la mano con la tazza piena, riempi la tua, con lo sguardo le offri le cose che sono sul tavolo. Pane, burro, marmellata e altri alimenti che a quest’ora e in queste circostanze ti appaiono assolutamente insipidi. Vedi che lei non accetta, che si limita ad accendere una sigaretta e a versare qualche goccia di latte nella sua tazza di caffè.
Con il cucchiaio compi brevi movimenti circolari che pian piano formano spirali, finché non sei certo della totale dissoluzione dello zucchero che è sprofondato come polvere di specchi in un pozzo, silenziosamente, rispettando il carattere inviolabile di questa mattina-silenzio che inizia.
Alla fine è lei la prima ad assaggiare il caffè e lì per lì pensa che forse la tazza era sporca. Solleva gli occhi, ti guarda senza recriminazioni nello stesso istante in cui tu bevi il primo sorso e immagini che questo sapore per il momento inqualificabile sia dovuto alla sigaretta, ma è lei a dirlo:
“Questo caffè sa di fallimento”.
Allora ti alzi in piedi, le strappi la tazza di mano, prendi la caffettiera e rovesci il liquido nel lavandino.
Il caffè scompare in un gorgoglio caldo e non resta altro che un alone scuro attorno allo scarico. Apri un pacchetto nuovo, calcoli l’acqua per quattro tazze e rimani in piedi aspettando che, goccia a goccia, si formi di nuovo quella porzione di melma mattutina.
Lo servi. Lei assaggia. Ti guarda con tristezza. Non dice nulla. Bevi dalla tua tazza e la guardi. Ora sei tu a esclamare:
“E’ vero. Sa di fallimento.”
Lei dice con indulgenza che può essere dovuto allo zucchero o al latte e tu gridi che non hai messo né latte né zucchero nel tuo caffè.
Accende un’altra sigaretta e spinge via la sua tazza in mezzo al tavolo, mentre tu tiri fuori i pacchetti di caffè che conservi in dispensa e con la punta di un coltello li apri uno dopo l’altro, palpi freneticamente con le dita quella polvere fine, assaggi, sputi, imprechi, e ti rendi conto che tutto il caffè di casa ha lo stesso ineluttabile sapore di fallimento.
Lei non ne ha assaggiato neppure un po’, ma lo sa.
Te lo dice in silenzio. Te lo dice con lo sguardo perso nei disegni poliedrici della tovaglia. Te lo dice con il fumo che soffia fuori dalle labbra.
Torni alla tua sedia con la sensazione di avere una specie di mattone in gola. Vuoi parlare. Vuoi dire che assieme avete bevuto molti caffè che sapevano di oblio, di disprezzo, di odio gentile e monotono. Vuoi dire che questa è la prima volta che il caffè ha un esasperante sapore di fallimento. Ma non riesci ad articolare neppure una parola.
Lei si alza dal tavolo. Va nella stanza accanto. Si veste lentamente e alle tue orecchie arriva il clic del suo braccialetto. Si avvicina alla porta, prende le chiavi, la borsa, il piccolo libro da leggere in viaggio, le viene in mente qualcosa prima di aprire la porta e torna indietro fino a dove sei tu per stamparti sulle labbra un bacio freddo che, per quanto ti sembri incredibile, ha lo stesso sapore di fallimento del caffè.”
CAFFE’
da ‘Incontro d’amore in un paese in guerra’ di Luis Sepulveda






Un esempio superlativo di incipit descrittivo

“A nord di Manantiales, villaggio petrolifero della Terra del Fuoco, sorgono le quindici  o venti case di un paesino di pescatori chiamato Angostura, e cioè "strettoia", perché si trova proprio davanti al primo restringimento dello stretto. Le case sono abitate soltanto durante la breve estate australe. Poi, durante il fugace autunno e il lungo inverno, non sono altro che un punto di riferimento nel paesaggio.
Angostura non ha cimitero, ma ha una tomba, un piccolo sepolcro che è stato dipinto di  bianco e che guarda verso il mare. Vi riposa Panchito Barria, un ragazzino morto a undici anni. In tutto il mondo si vive e si muore, ma il caso di Panchito è tragicamente speciale, perché il bambino è morto di tristezza.
Prima di compiere tre anni, Panchito fu colpito da una poliomielite che lo lasciò invalido. I suoi genitori, pescatori di San Gregorio, in Patagonia, ogni estate attraversavano lo stretto per installarsi ad Angostura. Portavano con loro il bambino, come un amoroso fagotto che se ne stava ben seduto su delle coperte, a guardare il mare.
Fino a cinque anni Panchito Barria fu un bambino triste, poco socievole, quasi incapace  di parlare. Ma un bel giorno accadde uno di quei miracoli che sembrano  ovvi nel sud del mondo:una formazione di venti o più delfini australi comparve davanti ad Angostura,nel loro passaggio dall' Atlantico al Pacifico.
Gli abitanti del luogo che mi hanno raccontato la storia di Panchito, hanno detto che appena li vide, il bambino si lasciò sfuggire un urlo lacerante, e che a mano a mano che i delfini si allontanavano, le sue grida crescevano in volume e sconforto. Alla fine, quando i delfini erano ormai scomparsi, dalla gola del bambino sfuggì un grido acuto, una nota altissima che allarmò i pescatori, ma che fece tornare indietro uno dei cetacei.
Il delfino si avvicinò alla costa e iniziò a fare salti nell'acqua. Panchito lo incoraggiava con le note acute che gli sgorgavano dalla gola. Tutti capirono che tra il bambino e il cetaceo si era stabilita una forma di comunicazione che prescindeva da dubbi e spiegazioni. Era successo perché la vita è fatta così. Punto e basta.
Il delfino rimase davanti ad Angostura per tutta l'estate. E quando l'approssimarsi dell'inverno impose di abbandonare il luogo, i genitori di Panchito e gli altri pescatori notarono stupiti che nel bambino non c'era la minima traccia di dolore. Con una serietà inaudita per i suoi cinque anni, dichiarò che anche il suo amico delfino sarebbe partito, perché altrimenti ghiacci lo avrebbero intrappolato, ma che l'anno dopo avrebbe fatto ritorno.
E l'estate successiva il delfino tornò.
Panchito cambiò, divenne un bambino loquace, allegro, arrivò a scherzare sulla sua condizione di invalido. Cambiò radicalmente. l suoi giochi con il delfino si ripeterono per sei estati. Panchito imparò a leggere, a scrivere, a disegnare il suo amico delfino.
Collaborava come tutti gli altri bambini alla riparazione delle reti, preparava zavorre, seccava frutti di mare, sempre con il suo amico che saltava nell'acqua, compiendo prodezze solo per lui.
Una mattina d'estate del 1990 il delfino non venne al suo quotidiano appuntamento.
Allarmati, i pescatori lo cercarono, rastrellando lo stretto da cima a fondo. Non lo trovarono, ma incontrarono una nave officina russa, una delle assassine del mare, che navigava vicinissimo al secondo restringimento dello stretto.
Due mesi dopo Panchito Barria morì di tristezza. Si spense senza piangere, senza mormorare un lamento.
Io ho visitato la sua tomba, e da lì ho guardato il mare, il mare grigio e agitato degli inizi d'inverno. Il mare dove fino a poco tempo fa giocavano i delfini.”
Luis Sepulveda, Patagonia Express, Appunti dal Sud del mondo, Feltrinelli, 1995


mercoledì 13 giugno 2018

GOAL D'AUTORE. IL CALCIO DEGLI SCRITTORI E DEI POETI (a cura di Claudio Tarani)


Il gioco del calcio raccontato, senza alcuna presunzione di completezza o di approfondimento particolari, attraverso gli scritti e le poesie di autori  del passato e contemporanei: la produzione letteraria ispirata a personaggi e vicende sul calcio è abbondante, suggestiva, affascinante.
Lo scopo è quello di delineare un'esile traccia storica, sociologica e culturale su un movimento sportivo planetario, (che è anche, soprattutto, un enorme apparato economico), che demolisce la frequente analisi riduttiva e sprezzante del fenomeno: “sono solo calci al pallone, undici o ventidue uomini (ndr. oggi anche donne!) che corrono dietro a un pallone” e così via sulla stessa falsariga denigratoria.
La maggior parte degli autori che hanno dedicato attenzione al gioco del calcio, hanno cercato di narrare le storie, le relative emozioni e suggestioni, assumendo tale sport come metafora della vita. Albert Camus disse addirittura “tutto quello che so della vita, l'ho imparato dal calcio”.


PROGRAMMA
  

  1) Introduzione. Che cosa è il calcio?
  2) La letteratura sul calcio.
  3) Giacomo Leopardi: uno dei primissimi a scrivere di sport.
  4) Umberto Saba, da intellettuale infastidito ad acceso tifoso.
  5) Pier Paolo Pasolini, il suo sconfinato amore per il calcio.
  6) Giovanni Arpino, colui che trasformò il pallone in letteratura.
  7) Osvaldo Soriano e le sue storie di calcio, ma non solo.
  8) Eduardo Galeano, il calcio degli splendori, ma anche delle miserie.
  9) Tutti insieme, con passione: le antologie  sul calcio.
10)  Calciatori e  poeti: Fernando Acitelli e Valerio Magrelli.
11) E altri ancora...ma il tempo  è  terminato!

martedì 12 giugno 2018

INTRODUZIONE AL MARKETING DIGITALE: CREA IL TUO SITO WEB (a cura di David Ferrante)


Oltre 4 miliardi di persone nel mondo sono connesse ad internet, con un incremento costante di utilizzo. Rispetto all’anno precedente, infatti, si riscontra un aumento del 7% di utenti internet; 13% di quelli attivi sui social; 14% attivi sui social mediante smartphone. Più del 75% della popolazione mondiale è in possesso di un cellulare dei quali circa il 38% sono smartphone.
In Italia il trend è simile: il 73% della popolazione è online (43 milioni di persone), di cui 34 milioni di utenti attivi sui social media. L’88% degli utenti internet si collega almeno una volta al giorno, l’11% una volta a settimana. Anche nel nostro Paese si registra una crescita continua: 4 milioni di persone connesse ad Internet (+ 10% rispetto all’anno precedente), 3 milioni sono gli utenti attivi sui social media (+ 10% rispetto all’anno precedente).
Interessante constatare come gli italiani trascorrano online quasi il doppio delle ore passante davanti la tv: circa 6 ore al giorno, di queste quasi 2 sono passate utilizzando una piattaforma social. Certamente i contenuti dei social e le informazioni reperite dal web sono molto spesso provenienti dai mezzi di comunicazioni classici quali tv, giornali e radio ma non può passare inosservato che il canale maggiormente utilizzato sia il web, esplorato soprattutto attraverso lo schermo di uno smartphone.
Ne consegue che la comunicazione non può più prescindere da internet e dagli strumenti dei social media. La presenza sul web è oramai sinonimo di “esistenza”. L’immediatezza e la facilità di inserimento di notizie, la velocità e la complessità delle relazioni sono caratteristiche che rendono internet indispensabile anche per la promozione della propria immagine e della propria attività o passione. La conoscenza seppur basilare degli strumenti che permettono la fruizione del web dovrebbe diventare parte integrante del bagaglio culturale di ogni autore che voglia fare un minimo di marketing dei propri lavori e creare attorno a sé un network di lettori.
Come creare la propria pagine web gratuitamente, o quasi, e un breve accenno al mondo di Facebook, sarà il contenuto del mio intervento di quest’anno agli Stati Generali delle Edizioni Tabula fati e Solfanelli.